Una virtù degli italiani è senza dubbio la curiosità scientifica. Un italiano medio infatti, tende spesso ad informarsi in modo più o meno approfondito su argomenti tecnici quando questi lo riguardano da vicino. Succede per esempio nel campo della medicina: tutti sanno come riconoscere e come curare un'influenza, proprio perché quando la si è presa, ci si è anche informati accuratamente, acquisendo conoscenze del campo medico.
Anche nel campo dell'ingegneria strutturale, ho riscontrato un certo interessamento alla materia nel momento in cui si viene toccati personalmente, per esempio quando si vive più o meno da vicino un forte terremoto.
Molti si improvvisano esperti, giungendo anche a dare convinti pareri a se e al prossimo su come avvengono i terremoti e sui metodi migliori di costruire case antisismiche.
Tali asserzioni, fin quando restano chiacchiere tra amici sono pressoché innocue. Messe in pratica invece possono diventate pericolose, al pari di una malattia seria curata senza medico.
Navigando in internet, mi sono imbattuto in un forum in cui un utente chiedeva un parere riguardante il comportamento degli edifici durante un terremoto.
Il link è il seguente: http://www.nikonclub.it/forum/lofiversion/index.php/t273792.html
Nelle risposte che vengono date (da altri utenti, alcuni dei quali si firmano ingegneri) sono contenute una serie di conclusioni errate e fuorvianti che, se lette dal curioso o dallo studente della circostanza, possono contribuire a maturare falsi convincimenti.
Per questo motivo riporto alcune correzioni agli argomenti più significativi, senza nessun intento polemico verso chi le ha scritte, ma soltanto in un'ottica di correttezza scientifica.
"Gli effetti di un sisma sono assimilabili a forze che aumentano con l'aumentare dell'altezza del fabbricato".
Falso, aumentando l'altezza di un fabbricato, normalmente si abbassa la frequenza di vibrazione, per cui le accelerazioni sismiche indotte all'edificio sono più basse. Estremizzando, un grattacielo di 50 piani è, in proporzione, meno sensibile al sisma rispetto ad un edificio di 5 piani.
"La moderna tecnica delle costruzioni, è rivolta a realizzare fabbricati flessibili".
Falso, la moderna tecnica delle costruzioni tende a premiare la duttilità. La flessibilità è invece, in condizioni ordinarie, un difetto perché se l'edificio è flessibile (cioè ha grandi spostamenti durante il sisma) si danneggiano fortemente tamponature e tramezzi.
"... il cemento armato ... per natura è fragile, cioè si rompe deformandosi poco".
Falso, il cemento armato (ben progettato, s'intende) è fortemente duttile, cioè si rompe deformandosi tanto.
"nei fabbricati alti o molto alti interviene anche il fenomeno della risonanza".
Falso. La coincidenza tra frequenze del sisma e frequenza propria di un edificio non avviene quasi mai per strutture superiori ai 10 piani. Significa che più si sale in altezza più è improbabile che vi sia risonanza.
"La normativa in vigore dal 2008 considera l'italia tutta sismica, ma divisa in zone da 1 a 4 come pericolosità".
Falso. Le zone da 1 a 4 non sono più legate alla pericolosità. La pericolosità, espressa in termini di accelerazioni sismiche attese, è legata al sito specifico. Le zone 1-4 seguono tra l'altro i confini comunali, che sono una mera convenzione umana e non possono rappresentare la pericolosità specifica del sito. Per esempio: molte aree del Comune dell'Aquila (zona 2) hanno mediamente un'accelerazione di progetto più alta di molte aree del Comune di Cagnano Amiterno (zona 1).
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- DISCLAIMER: IL CONTENUTO DI QUESTO POST E' UNA RIFLESSIONE SU TEMI INERENTI L'INGEGNERIA E L'ARCHITETTURA. NON E' PERTANTO ASSIMILABILE AD UN ARTICOLO SCIENTIFICO NE' CONTIENE DISQUISIZIONI ESAUSTIVE SUGLI ARGOMENTI TRATTATI. L'AUTORE NON E' QUINDI RESPONSABILE DELL'UTILIZZO DEI CONTENUTI TRATTATI E DELLE RELATIVE CONCLUSIONI.-
giovedì 8 novembre 2012
domenica 21 ottobre 2012
Architetture sgargianti
In una piacevole conversazione con un amico architetto, mediamente famoso in Inghilterra, dove esercita la professione, si discuteva dell'estetica degli edifici di nuova costruzione.
Mi fece un paragone spettacolare (non gli ho chiesto per rispetto se era farina del suo sacco o se citava qualcun altro):
"Quando partecipi ad una festa, il tuo occhio sarà certamente colpito dalle persone che indossano i vestiti più sgargianti. Se però c'è qualcuno che si ferma a parlare con te e ti racconta cose interessanti, è di lui che avrai il ricordo più piacevole".
Questo aneddoto può essere facilmente trasportato nell'architettura.
Quando si visita un luogo, si è attratti dalle costruzioni più particolari e vistose, ma non necessariamente queste saranno ricordate come le migliori. Diversamente, se la forma e le caratteristiche di un edificio riescono a comunicare un messaggio, saranno questi ultimi ad imprimersi nella mente per lungo tempo, lasciando piacevoli sensazioni.
In architettura dunque, c'è molta differenza tra ciò che colpisce sul momento e ciò che comunica qualcosa di importante.
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Mi fece un paragone spettacolare (non gli ho chiesto per rispetto se era farina del suo sacco o se citava qualcun altro):
"Quando partecipi ad una festa, il tuo occhio sarà certamente colpito dalle persone che indossano i vestiti più sgargianti. Se però c'è qualcuno che si ferma a parlare con te e ti racconta cose interessanti, è di lui che avrai il ricordo più piacevole".
Questo aneddoto può essere facilmente trasportato nell'architettura.
Quando si visita un luogo, si è attratti dalle costruzioni più particolari e vistose, ma non necessariamente queste saranno ricordate come le migliori. Diversamente, se la forma e le caratteristiche di un edificio riescono a comunicare un messaggio, saranno questi ultimi ad imprimersi nella mente per lungo tempo, lasciando piacevoli sensazioni.
In architettura dunque, c'è molta differenza tra ciò che colpisce sul momento e ciò che comunica qualcosa di importante.
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giovedì 4 ottobre 2012
Terremoto, la sabbia attutisce (?!)
Come ho osservato in molte occasioni, dopo un forte terremoto, esce allo scoperto un drappello di sedicenti esperti di notevole spessore. Costoro sono personaggi veramente meritevoli poiché, senza nessuna esperienza, senza nessun titolo, senza addirittura nessuna cultura scientifica, si prodigano in acuti consigli e asserzioni che si rivelano molto seguiti tra le persone.
Fino a creare assurde (e pericolose) leggende. Come quella, molto diffusa, che i terreni sabbiosi sono l'ideale per costruire in quanto attutiscono gli effetti del terremoto.
Vero è che lo studio del comportamento dei terreni e la loro interazione con gli edifici durante una scossa è uno dei temi più dibattuti della moderna ingegneria sismica, tuttavia si può senza dubbio affermare che, in linea generale, un terreno sabbioso è una fonte certa di maggior pericolo rispetto ad uno roccioso.
Sono essenzialmente tre le ragioni, che, come al solito, cercherò di illustrare in modo semplice.
1. La capacità portante (che misura quanto un terreno è in grado di sopportare il peso dell'edificio) è statisticamente più bassa per un terreno sabbioso rispetto ad uno roccioso, per cui l'edificio, anche senza sisma, "parte svantaggiato";
2. La sabbia è molto sensibile alla presenza di acqua in caso di scuotimento sismico, potendo innescare un drammatico fenomeno chiamato liquefazione. In pratica, una forte scossa potrebbe abbassare così tanto la capacità portante iniziale fino ad annullarla completamente, facendo venire meno ogni sostegno all'edificio.
3. Su terreni sabbiosi può ingenerarsi un altro pericoloso fenomeno, ovvero quello chiamato amplificazione sismica locale.
Si tratta di una particolare situazione (ma tutt'altro che rara) per cui le onde sismiche, anziché attenuarsi con la distanza rispetto all'epicentro, si amplificano, scaricando maggiore potere distruttivo sugli edifici che investono. Questo avviene, in particolare, in una tipica configurazione in cui c'è uno strato superficiale di terreno incoerente (quale la sabbia), e uno strato più profondo di terreno roccioso.
Ci siamo addentrati in argomenti molto complessi, per cui è opportuno ricordare che gli stessi sono stati trattati senza nessun rigore scientifico, ma solo con finalità divulgative. Un aspetto va però puntualizzato. Il termine "sabbia" è stato utilizzato nell'accezione più generica possibile per non disorientare il lettore. In geotecnica però, così come in ogni disciplina scientifica, la generalizzazione è scorretta per definizione: ogni casistica va studiata e analizzata singolarmente da esperti qualificati.
Quelli improvvisati è meglio ignorarli a prescindere, per il bene loro e di tutti.
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mercoledì 12 settembre 2012
Quanto devo pagare per un progetto sbagliato?
Per l'ennesima volta mi capita di ascoltare la storia del sig. Tizio che, dopo aver affidato la redazione di un progetto ad un professionista ed avere atteso mesi e mesi, perde la pazienza perché il progetto in questione non vede la luce perché, a causa di problemi tecnici e normativi, non arriva l'approvazione degli organi preposti.
Il sig. Tizio vorrebbe quindi cambiare professionista, glielo comunica e, per tutta risposta si vede recapitare una consistente richiesta economica per il servizio prestato. Il fatto che tale servizio sia del tutto inutile (senza che sia approvato il sig. Tizio non se ne fa molto del progetto redatto) sembrerebbe non contare.
La questione non è affatto banale perché investe ben due aspetti della professione, quello deontologico e quello legislativo.
Per quel che riguarda la sfera deontologica, è indubbio che una richiesta di pagamento di un servizio non efficace non è il massimo della professionalità. Così come non sono accettabili, sempre deontologicamente, silenzi sullo stato approvativo di un progetto qualora lo stesso sia investito da problematiche tecniche o legislative.
Per ciò che attiene la sfera legale, esistono molteplici pronunciamenti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità. Tra le varie sentenze, ne cito una particolarmente significativa, che tra l'altro è alla base di molti giudizi successivi: Cassazione n. 15781 del 28 luglio 2005.
Nel dispositivo è chiaramente affermato che l'attività progettuale è riconducibile ad una "obbligazione di risultato" nei confronti del cliente. In parole semplici, quando si commissiona un progetto ad un professionista, l'oggetto della commissione è l'approvazione finale, indipendentemente da quanto prodotto.
Seguendo questa interpretazione si può dare quindi una risposta alla domanda che fa da titolo al post.
Per un progetto sbagliato, che non ha raggiunto l'approvazione per problemi tecnici o normativi, per legge nulla è dovuto al professionista.
È ovvio che la generalizzazione (o peggio la strumentalizzazione) di tali conclusioni è assolutamente da evitare, poiché quando si entra in questioni legali ogni vicenda è una storia a se, con peculiarità che possono condizionare o addirittura ribaltare il principio di base.
Alla luce di queste considerazioni, torno al sig. Tizio, che dopo aver illustrato la sua storia, conclude sempre con due richieste. Per prima cosa vuole un consiglio su come comportarsi circa la richiesta economica del suo professionista. In secondo luogo mi chiede la disponibilità a sostituirlo. Come rispondere?
Io ho sempre risposto con una raccomandazione ed un rimprovero. La raccomandazione è quella di mediare il congedo dell'incarico in essere, magari con il parere di un legale: lo Studio De Simone non ha mai accettato, e mai accetterà incarichi su cui pendono rivendicazioni di colleghi.
Il rimprovero è invece quello di non aver regolamentato il rapporto con un documento scritto e chiaro, contenente ogni dettaglio circa le modalità di esonero in corso d'opera.
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Il sig. Tizio vorrebbe quindi cambiare professionista, glielo comunica e, per tutta risposta si vede recapitare una consistente richiesta economica per il servizio prestato. Il fatto che tale servizio sia del tutto inutile (senza che sia approvato il sig. Tizio non se ne fa molto del progetto redatto) sembrerebbe non contare.
La questione non è affatto banale perché investe ben due aspetti della professione, quello deontologico e quello legislativo.
Per quel che riguarda la sfera deontologica, è indubbio che una richiesta di pagamento di un servizio non efficace non è il massimo della professionalità. Così come non sono accettabili, sempre deontologicamente, silenzi sullo stato approvativo di un progetto qualora lo stesso sia investito da problematiche tecniche o legislative.
Per ciò che attiene la sfera legale, esistono molteplici pronunciamenti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità. Tra le varie sentenze, ne cito una particolarmente significativa, che tra l'altro è alla base di molti giudizi successivi: Cassazione n. 15781 del 28 luglio 2005.
Nel dispositivo è chiaramente affermato che l'attività progettuale è riconducibile ad una "obbligazione di risultato" nei confronti del cliente. In parole semplici, quando si commissiona un progetto ad un professionista, l'oggetto della commissione è l'approvazione finale, indipendentemente da quanto prodotto.
Seguendo questa interpretazione si può dare quindi una risposta alla domanda che fa da titolo al post.
Per un progetto sbagliato, che non ha raggiunto l'approvazione per problemi tecnici o normativi, per legge nulla è dovuto al professionista.
È ovvio che la generalizzazione (o peggio la strumentalizzazione) di tali conclusioni è assolutamente da evitare, poiché quando si entra in questioni legali ogni vicenda è una storia a se, con peculiarità che possono condizionare o addirittura ribaltare il principio di base.
Alla luce di queste considerazioni, torno al sig. Tizio, che dopo aver illustrato la sua storia, conclude sempre con due richieste. Per prima cosa vuole un consiglio su come comportarsi circa la richiesta economica del suo professionista. In secondo luogo mi chiede la disponibilità a sostituirlo. Come rispondere?
Io ho sempre risposto con una raccomandazione ed un rimprovero. La raccomandazione è quella di mediare il congedo dell'incarico in essere, magari con il parere di un legale: lo Studio De Simone non ha mai accettato, e mai accetterà incarichi su cui pendono rivendicazioni di colleghi.
Il rimprovero è invece quello di non aver regolamentato il rapporto con un documento scritto e chiaro, contenente ogni dettaglio circa le modalità di esonero in corso d'opera.
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martedì 7 agosto 2012
Scala Mercalli obsoleta. Qualcuno ne è (falsamente) convinto
Sfogliando per caso un libro di testo di scienze, attualmente utilizzato in molte scuole superiori, mi sono imbattuto in una inquietante descrizione dei metodi di misurazione del terremoto.
Veniva infatti asserito che la potenza di un sisma si può misurare con due sistemi: scala Richter e scala Mercalli. Seguiva una descrizione approssimativa e contraddittoria, che si concludeva con una curiosa asserzione circa l'obsolescenza della scala Mercalli, ritenuta ormai superata e di scarsa utilità.
Ora, volendo tralasciare l'irriverenza verso Giuseppe Mercalli, illustre connazionale sacerdote e geologo, volendo tralasciare anche l'assoluta mancanza di almeno un cenno alle scale di misurazione attualmente utilizzate (né la scala Mercalli, nè la scala Richter ma piuttosto la scala EMS-98 e la Magnitudo Momento), è difficile accettare tale giudizio, non solo fuorviante, ma decisamente sbagliato.
Vediamo perché.
In molti sanno che la scala Mercalli non segue la misurazione di una grandezza fisica (come avviene per la Richter che valuta l'energia liberata), bensì gli effetti distruttivi del sisma su natura, persone e oggetti.
Tale impostazione, che Mercalli formulò nel 1902 riprendendo una felice intuizione di un altro italiano, Michele Stefano de Rossi, è stata più volte aggiornata e revisionata, mantenendo però intatta la sostanza.
L'ultima revisione ha portato alla definizione della cosiddetta Scala Macrosismica Europea (abbreviata in EMS-98) che si basa sulla suddivisione dei terremoti in 12 gradi a seconda di quanti e quali danni sono osservabili, ricalcando quindi l'originaria formulazione della scala di Giuseppe Mercalli.
Tale scala è oggi ampiamente utilizzata in Europa e in molte nazioni del mondo per classificare sia i terremoti occorsi, sia i terremoti storici.
Evidentemente quindi, la valutazione dell'effetto del terremoto non è affatto obsoleta o inutile. Essa permette di fotografare in modo obiettivo l'impatto di un sisma sulla collettività, sulle urbanizzazioni e sull'ambiente, sia in termini assoluti, sia in termini comparativi tra scosse di diverse località ed epoche.
Veniva infatti asserito che la potenza di un sisma si può misurare con due sistemi: scala Richter e scala Mercalli. Seguiva una descrizione approssimativa e contraddittoria, che si concludeva con una curiosa asserzione circa l'obsolescenza della scala Mercalli, ritenuta ormai superata e di scarsa utilità.
Ora, volendo tralasciare l'irriverenza verso Giuseppe Mercalli, illustre connazionale sacerdote e geologo, volendo tralasciare anche l'assoluta mancanza di almeno un cenno alle scale di misurazione attualmente utilizzate (né la scala Mercalli, nè la scala Richter ma piuttosto la scala EMS-98 e la Magnitudo Momento), è difficile accettare tale giudizio, non solo fuorviante, ma decisamente sbagliato.
Vediamo perché.
In molti sanno che la scala Mercalli non segue la misurazione di una grandezza fisica (come avviene per la Richter che valuta l'energia liberata), bensì gli effetti distruttivi del sisma su natura, persone e oggetti.
Tale impostazione, che Mercalli formulò nel 1902 riprendendo una felice intuizione di un altro italiano, Michele Stefano de Rossi, è stata più volte aggiornata e revisionata, mantenendo però intatta la sostanza.
L'ultima revisione ha portato alla definizione della cosiddetta Scala Macrosismica Europea (abbreviata in EMS-98) che si basa sulla suddivisione dei terremoti in 12 gradi a seconda di quanti e quali danni sono osservabili, ricalcando quindi l'originaria formulazione della scala di Giuseppe Mercalli.
Tale scala è oggi ampiamente utilizzata in Europa e in molte nazioni del mondo per classificare sia i terremoti occorsi, sia i terremoti storici.
Evidentemente quindi, la valutazione dell'effetto del terremoto non è affatto obsoleta o inutile. Essa permette di fotografare in modo obiettivo l'impatto di un sisma sulla collettività, sulle urbanizzazioni e sull'ambiente, sia in termini assoluti, sia in termini comparativi tra scosse di diverse località ed epoche.
Tra l'altro, in molti paesi, tra cui l'Italia, si fa riferimento alla scala EMS-98, alias Mercalli, per impostare le iniziative emergenziali a seguito dei terremoti, laddove il parametro della magnitudo Richter risulterebbe decisamente inutile.
Concludo: nessuno si aspetta che un libro di scuola sia esaustivo di argomenti complessi; è un diritto di tutti gli studenti però di avere una formazione di base corretta ed aggiornata.
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Concludo: nessuno si aspetta che un libro di scuola sia esaustivo di argomenti complessi; è un diritto di tutti gli studenti però di avere una formazione di base corretta ed aggiornata.
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domenica 4 marzo 2012
Terremoto: meglio edifici alti o edifici bassi?
Premetto che il contenuto di questo post non è rivolto a chi mastica di ingegneria strutturale visto l'approccio semplicistico utilizzato e l'analisi di un tema elementare per la scienza delle costruzioni.
Esiste una diffusa convinzione per cui un edificio alto è più pericoloso, in caso di un terremoto violento, rispetto ad un edificio basso. Le motivazioni alla base di questo comune sentimento sono essenzialmente due.
La prima discende da una semplice valutazione pratica: la distanza dall'uscita di un edificio basso è minore, per cui è facilitata la fuga.
La seconda, è essenzialmente legata alla banale assimilazione dell'edificio ad un castello di carte per cui più si sale in altezza più è probabile che un'azione esterna possa far crollate tutto.
Bene, dal punto di vista scientifico (teorico e pratico), la situazione è completamente opposta. Cerchiamo quindi di sfatare entrambe le convinzioni usando gli argomenti scientifici, cercando però di usare parole semplici e comprensibili a tutti.
La questione della "distanza" rispetto alla via di fuga è essenzialmente un inganno psicologico (a volte molto pericoloso). La scienza delle costruzioni insegna che il crollo di un edificio sotto un sisma violento può avvenire in due modi: duttile o fragile. La modalità fragile comporta un collasso repentino (non più di una ventina di secondi per un palazzo di cinque piani), normalmente dal basso verso l'alto. Il crollo duttile invece, comporta un collasso ritardato, preceduto da un danneggiamento grave e diffuso. È opportuno ricordare, al proposito, che le normative sismiche più evolute spingono con forza a progettare edifici che non abbiano comportamento fragile, ritenuto, va da se, il principale pericolo per la salvaguardia della vita.
In entrambi i casi quindi, l'avere a disposizione una corsa breve per l'uscita non cambia sostanzialmente il rischio per l'incolumità. Nel primo caso perché il tempo è comunque troppo ridotto per tentare una fuga. Nel secondo caso perché, anche se si avesse il tempo necessario per raggiungere l'uscita, ci si esporrebbe al rischio di essere travolti dagli elementi dell'edificio che va danneggiandosi (ecco perchè nei manuali di comportamento durante una scossa viene raccomandato di ripararsi sotto il tavolo).
Per spiegare invece l'argomento dell'altezza, c'è bisogno di invocare la dinamica delle strutture. La struttura portante di un edificio non è infatti assimilabile ad un castello di carte, ma ad un insieme complesso di elementi connessi tra loro che, se sottoposti ad un disturbo (quale è il sisma) si comportano deformandosi in modo diverso a seconda di un parametro chiamato "frequenza propria di vibrazione".
L'accelerazione sismica che investirà l'edificio è strettamente dipendente da tale frequenza: più è bassa, meno forte sarà l'accelerazione sismica che investirà l'edificio. Orbene, a parità di condizioni, un edificio che si sviluppa in altezza possiede una frequenza propria molto bassa.
La conseguenza è che gli effetti di un sisma saranno molto più accentuati su una struttura bassa. Estremizzando quindi, in barba alla comune convinzione, un grattacielo è molto poco sensibile agli effetti di un terremoto. Per gli strutturisti dei grattacieli infatti, il terremoto è ritenuto un problema secondario rispetto ad altre sollecitazioni (in primis quelle causate dal vento), anche nelle zone sismiche più estreme quali Giappone e California.
Termino il post ricordando che le considerazioni fatte, per quanto scientificamente rigorose, non sono ovviamente esaustive di un problema complesso quale la progettazione sismica, e si rivolgono esclusivamente in chiave informativa, ai non addetti ai lavori.
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Esiste una diffusa convinzione per cui un edificio alto è più pericoloso, in caso di un terremoto violento, rispetto ad un edificio basso. Le motivazioni alla base di questo comune sentimento sono essenzialmente due.
La prima discende da una semplice valutazione pratica: la distanza dall'uscita di un edificio basso è minore, per cui è facilitata la fuga.
La seconda, è essenzialmente legata alla banale assimilazione dell'edificio ad un castello di carte per cui più si sale in altezza più è probabile che un'azione esterna possa far crollate tutto.
Bene, dal punto di vista scientifico (teorico e pratico), la situazione è completamente opposta. Cerchiamo quindi di sfatare entrambe le convinzioni usando gli argomenti scientifici, cercando però di usare parole semplici e comprensibili a tutti.
La questione della "distanza" rispetto alla via di fuga è essenzialmente un inganno psicologico (a volte molto pericoloso). La scienza delle costruzioni insegna che il crollo di un edificio sotto un sisma violento può avvenire in due modi: duttile o fragile. La modalità fragile comporta un collasso repentino (non più di una ventina di secondi per un palazzo di cinque piani), normalmente dal basso verso l'alto. Il crollo duttile invece, comporta un collasso ritardato, preceduto da un danneggiamento grave e diffuso. È opportuno ricordare, al proposito, che le normative sismiche più evolute spingono con forza a progettare edifici che non abbiano comportamento fragile, ritenuto, va da se, il principale pericolo per la salvaguardia della vita.
In entrambi i casi quindi, l'avere a disposizione una corsa breve per l'uscita non cambia sostanzialmente il rischio per l'incolumità. Nel primo caso perché il tempo è comunque troppo ridotto per tentare una fuga. Nel secondo caso perché, anche se si avesse il tempo necessario per raggiungere l'uscita, ci si esporrebbe al rischio di essere travolti dagli elementi dell'edificio che va danneggiandosi (ecco perchè nei manuali di comportamento durante una scossa viene raccomandato di ripararsi sotto il tavolo).
Per spiegare invece l'argomento dell'altezza, c'è bisogno di invocare la dinamica delle strutture. La struttura portante di un edificio non è infatti assimilabile ad un castello di carte, ma ad un insieme complesso di elementi connessi tra loro che, se sottoposti ad un disturbo (quale è il sisma) si comportano deformandosi in modo diverso a seconda di un parametro chiamato "frequenza propria di vibrazione".
L'accelerazione sismica che investirà l'edificio è strettamente dipendente da tale frequenza: più è bassa, meno forte sarà l'accelerazione sismica che investirà l'edificio. Orbene, a parità di condizioni, un edificio che si sviluppa in altezza possiede una frequenza propria molto bassa.
La conseguenza è che gli effetti di un sisma saranno molto più accentuati su una struttura bassa. Estremizzando quindi, in barba alla comune convinzione, un grattacielo è molto poco sensibile agli effetti di un terremoto. Per gli strutturisti dei grattacieli infatti, il terremoto è ritenuto un problema secondario rispetto ad altre sollecitazioni (in primis quelle causate dal vento), anche nelle zone sismiche più estreme quali Giappone e California.
Termino il post ricordando che le considerazioni fatte, per quanto scientificamente rigorose, non sono ovviamente esaustive di un problema complesso quale la progettazione sismica, e si rivolgono esclusivamente in chiave informativa, ai non addetti ai lavori.
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