mercoledì 12 settembre 2012

Quanto devo pagare per un progetto sbagliato?

Per l'ennesima volta mi capita di ascoltare la storia del sig. Tizio che, dopo aver affidato la redazione di un progetto ad un professionista ed avere atteso mesi e mesi, perde la pazienza perché il progetto in questione non vede la luce perché, a causa di problemi tecnici e normativi, non arriva l'approvazione degli organi preposti.

Il sig. Tizio vorrebbe quindi cambiare professionista, glielo comunica e, per tutta risposta si vede recapitare una consistente richiesta economica per il servizio prestato. Il fatto che tale servizio sia del tutto inutile (senza che sia approvato il sig. Tizio non se ne fa molto del progetto redatto) sembrerebbe non contare.
La questione non è affatto banale perché investe ben due aspetti della professione, quello deontologico e quello legislativo.

Per quel che riguarda la sfera deontologica, è indubbio che una richiesta di pagamento di un servizio non efficace non è il massimo della professionalità. Così come non sono accettabili, sempre deontologicamente, silenzi sullo stato approvativo di un progetto qualora lo stesso sia investito da problematiche tecniche o legislative.

Per ciò che attiene la sfera legale, esistono molteplici pronunciamenti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità. Tra le varie sentenze, ne cito una particolarmente significativa, che tra l'altro è alla base di molti giudizi successivi: Cassazione n. 15781 del 28 luglio 2005.

Nel dispositivo è chiaramente affermato che l'attività progettuale è riconducibile ad una "obbligazione di risultato" nei confronti del cliente. In parole semplici, quando si commissiona un progetto ad un professionista, l'oggetto della commissione è l'approvazione finale, indipendentemente da quanto prodotto.

Seguendo questa interpretazione si può dare quindi una risposta alla domanda che fa da titolo al post.
Per un progetto sbagliato, che non ha raggiunto l'approvazione per problemi tecnici o normativi, per legge nulla è dovuto al professionista.

È ovvio che la generalizzazione (o peggio la strumentalizzazione) di tali conclusioni è assolutamente da evitare, poiché quando si entra in questioni legali ogni vicenda è una storia a se, con peculiarità che possono condizionare o addirittura ribaltare il principio di base.

Alla luce di queste considerazioni, torno al sig. Tizio, che dopo aver illustrato la sua storia, conclude sempre con due richieste. Per prima cosa vuole un consiglio su come comportarsi circa la richiesta economica del suo professionista. In secondo luogo mi chiede la disponibilità a sostituirlo. Come rispondere?
Io ho sempre risposto con una raccomandazione ed un rimprovero. La raccomandazione è quella di mediare il congedo dell'incarico in essere, magari con il parere di un legale: lo Studio De Simone non ha mai accettato, e mai accetterà incarichi su cui pendono rivendicazioni di colleghi.
Il rimprovero è invece quello di non aver regolamentato il rapporto con un documento scritto e chiaro, contenente ogni dettaglio circa le modalità di esonero in corso d'opera.



- DISCLAIMER: IL CONTENUTO DI QUESTO POST E' UNA RIFLESSIONE SU TEMI INERENTI L'INGEGNERIA E L'ARCHITETTURA. NON E' PERTANTO ASSIMILABILE AD UN ARTICOLO SCIENTIFICO NE' CONTIENE DISQUISIZIONI ESAUSTIVE SUGLI ARGOMENTI TRATTATI. L'AUTORE NON E' QUINDI RESPONSABILE DELL'UTILIZZO DEI CONTENUTI TRATTATI E DELLE RELATIVE CONCLUSIONI.-

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